Hey guarda guarda, mi sono deciso a scrivere di nuovo qualcosina per il blog dopo la consueta maratona Sanremo che, oggettivamente, lascia sempre molta stanchezza e canzoni di merda in testa (tipo stanotte mi sono svegliato alle 3 cantando i Maneskin. True story).
Però si torna a fare recensioni ignoranti dicevo e, andando off trend ma neanche troppo, propongo una piccola riflessione sulla miniserie prodotta da Ron Howard sul Cecil Hotel di Los Angeles, serie che è stata per parecchio tempo nella top 10 dei più visti su Netflix da inizio 2021, praticamente fin quando non mi sono deciso a scriverne.
La serie (titolo completo “Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel”) racconta la vera storia di una studentessa canadese, Elisa Lam, sparita all’improvviso mentre soggiornava al Cecil Hotel nel febbraio 2013 per poi essere ritrovata morta annegata all’interno del silos che fornisce acqua all’intero stabile, circa 20 giorni dopo la sparizione.
Anzitutto commento a caldo: che schifo.
Secondo commento, grazie a questa serie ho imparato che:
- Skid Row non è solo un gruppo glam discutibilissimo ma anche il quartiere malfamato di Los Angeles (ironicamente al centro), dove la città ha più o meno rinchiuso da decenni qualche milione di senzatetto, malati di mente, eroinomani e criminali di varia foggia;
- Richie Cunningham comincia a perdere un po’ i pezzi come produttore (ma questo lo sapevo già dal film sui Beatles);
- Esiste una categoria chiamata YouTube detectives e – credetemi – sono peggio delle trasmissioni di Vespa su Cogne.
Anzitutto vediamo cosa abbiamo qui: una ragazza 21enne (la povera Elisa Lam) purtroppo sofferente di disturbo bipolare, si rifiuta di prendere gli psicofarmaci e, da quel che si vede dalla videocamera di sorveglianza, chiaramente vaneggia all’interno di un ascensore, probabilmente parlando da sola.
Una volta trovato il suo corpo la polizia dichiara (quasi subito) la morte accidentale ed è qui che intervengono i detective di YouTube dicendo che non ha senso perché – chiaramente – è stato il metallaro che soggiornava nell’hotel ad ammazzarla.
Wait, what?
Qui si conclude la seconda puntata della miniserie. Fin qui complessivamente si tratta di un prodotto molto ben fatto, quindi vediamo come va tutto molto velocemente a puttane nei prossimi due episodi.
A quanto pare un povero malcapitato metallaro messicano ha soggiornato al Cecil e documentato la cosa con dei video su YouTube per promuovere la sua musica oggettivamente di merda (roba che fa venir voglia di Aiello, tanto per dire). I detective di YouTube hanno subito fatto l’equazione metal=male e dato la colpa a lui, rendendogli la vita impossibile, inondandolo di minacce di morte, ponendo fine alla sua carriera musicale (che però se chiedete a me era finita prima di iniziare) e portandolo a tentare il suicidio. Piccolo particolare: il poveraccio era sì stato al Cecil, ma nel 2012, UN ANNO prima di Elisa Lam.
Cosa impariamo da tutto ciò?
Che non importa quanto macabro e morboso sia un omicidio, ci saranno sempre degli sciacalli che vorranno banchettarci sopra.
La scena del circo (mediatico?) di YouTuber che si accalcano per prenotare una stanza in quell’hotel è francamente raccapricciante, così come lo è quella del tizio che si fa mandare un video dalla tomba di Elisa Lam perché questo caso lo ha toccato nel profondo. Ancora una volta, tutti insieme: What?
L’Hotel non c’entra nulla, il vero mostro messo a nudo siamo noi, la nostra curiosità morbosa per le varie nefandezze dell’animo umano, i milioni di clic, visualizzazioni e like che questi dementi si sono beccati e compagnia cantando. Davvero un affresco poco edificante della modernità.
Nel prossimo appuntamento continuiamo il viaggio nelle docuserie crime di Netflix con “Omicidio tra i mormoni”, titolo che da solo vale il prezzo dell’abbonamento anche se un filo fuorviante.
Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel
Voto: 5,5
FM