8 days (and 14€) a week

8 Days A Week – voto: 4,5

“Francesco, da bravo Beatlemaniac scommetto che non ti farai sfuggire la proiezione di ‘8 Days A Week’, vero?”
“Certo che no voce nella mia testa, c’è anche Ron Howard alla regia. Lui è Richie Cunningham! Cosa potrebbe mai andar storto?”
“Già…”

E fu così che mi incastrai da solo nella visione del docufilm più inutile e scialbo della storia.
E pagai anche 14€ di biglietto per farlo.

8DAW è solo un’altra delle infinite operazioni nostalgia fatte sui Beatles. Una venuta male per giunta, che non offre quasi nulla a chi è già fan, ma fallisce anche nell’intrigare chi dei Fab Four conosce poco o nulla, esponendo, di fatto, il vecchio concetto di Beatles=Cash Cow.

Il film cronologicamente parte da poco prima del loro primo disco e si conclude con l’uscita di “Sgt. Peppers…”nel giugno 1966. Il quadriennio proposto (1962 – 1966) è stato senza dubbio uno dei più interessanti del 20esimo secolo. Tra gli avvenimenti (tutti americocentrici) che il film sottolinea di questo periodo abbiamo: l’omicidio Kennedy, le lotte contro la segregazione razziale (Martin Luther King non viene mai nominato ma appare in qualche immagine), la guerra del Vietnam e…l’uscita della Ford Mustang? Really???

In pratica, partendo da potenzialità narrative infinitesia per quanto riguarda la società dell’epoca che i Beatles stessi, Howard sceglie di non raccontare praticamente nessuna di queste storie. La sensazione che la visione provoca non è un’immersione nel clima fervente dell’epoca, ma quella di mettere delle spunte alla lista della spesa: “Please, please me” – fatto, “With the Beatles”– fatto, “Ed Sullivan show” – fatto, e così via.

Una corsa affrettata verso l’estate del ’66 e la decisione dei fantastici quattro di Liverpool di non andare più in tour per dedicarsi solo alla composizione, glissando totalmente quelli che sono gli ultimi 5 LP capolavoro della band (ok che il sottotitolo del film è “The touring years” ma un minimo di accenno non sarebbe stato male, invece vengono mostrati solo le copertine di quegli album ed il famoso concerto sul tetto della Apple corps).

A salvarsi, in circa 1h e 30 di documentario, sono solamente i 20 minuti centrali in cui il giornalista statunitense Larry Kane racconta per filo e per segno (oddio, secondo me ha tralasciato qualche storiella interessante, ma rispetto al resto è comunque oro colato) la sua esperienza in tour con i Beatles durante la loro seconda venuta negli USA: 25 date in 30 giorni e la sensazione di essere dentro un frullatore con quattro ragazzi che stavano cambiando la scena musicale e la società come mai nessuno né prima né dopo.

Dei vari cameo vip presenti in 8DAW solo Whoopi Goldberg riesce ad offrire un minimo di spaccato sociale, dicendo di non aver sentito differenza tra bianchi e neri per la prima volta grazie ai Beatles. Anche le interviste ai Fab Four (di cui, ovviamente, quelle di Lennon ed Harrison tratte da filmati d’epoca) sono superficiali, brevissime e non aggiungono nulla alla loro storia. Spiace dirlo ma la proiezione finale dei 30 minuti di concerto allo Shea Stadium di New York del 1965, con video e audio rimasterizzati in 4k, non ripagano dell’inutilità di tutto il documentario.

Richie Cunningham voleva essere Fonzie, ma si è dimostrato impacciato e inutile come Potsie.

Consiglio finale: con 14€ potete fare un sacco di cose migliori.

Francesco Mandolini

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