Netflix è corsa in nostro soccorso durante la quarantena con una nuova stagione della Casa di Carta, la quarta. Avevamo davvero bisogno di arrivare alla quarta stagione? Lascio a voi l’ardua sentenza.
Ma prima di cominciare un’appropriata recensione ignorante, sono d’obbligo un paio di premesse:
– È difficile fare questa recensione senza spoilerare? Sì.
– È stato gradito l’omaggio a Battiato con un coro ecclesiastico di “Centro di gravità permanente”? Doppio Sì.
– È una serie ormai classificabile nel genere fantasy? Sì, sì e sì.
Se all’inizio questa storia ci aveva riattivato l’orgoglio e la voglia di rivoluzione, arrivati a questo punto indossare la maschera di Dalí è equiparabile ad un superpotere che ti rende capace di qualsiasi cosa, tipo supereroe Marvel.
Però, se si è arrivati fino alla terza stagione (che già fa nettamente vacillare il fomento iniziale della banda), è quasi d’obbligo proseguire. Quindi si preme play, e si va avanti di puntata in puntata, con diversi “Ma daiiiiii” o “Si, vabbè”.
Perché per quanto El Profesor sia un piccolo Einstein misto a Leopardi del crimine, non può esistere in natura una mente umana capace di architettare tutto questo. Tanto quanto non possono esistere degli esseri umani in grado di sparare, saldare, fondere oro, operare, programmare e fare anche la paella.
Le puntate sono, come sempre, architettate in modo perfetto. Anche se ormai si sono fatte le 03.00 di notte, viene comunque voglia di proseguire e vederne ancora e ancora. Fotografia, regia e musica sono davvero ottime, però la visione è aiutata anche un po’ dall’effetto pilota automatico che ci tiene incollati lì.
Dopo tutte le avventure, le follie e i mille modi già escogitati dai paladini in tuta rossa, si sa perfettamente che quando la polizia tenterà di fare incursione, loro useranno gli ostaggi o escamotages del calibro di Empieza el Matriarcado.
Fate attenzione, i colpi di scena ci sono e valgono la pena di qualche “Gasp”, ma non danno più la stessa scossa dei primi tocchi di magia. Questo perché ci sono alcuni momenti di pura follia come trasferte in tempi record da Madrid all’altra parte del mondo, un uso dei social e dei giornali poco credibile, e un appoggio popolare di difficile lettura.
Ad esempio: se c’è un perenne sit-in fuori dalla Banca di Spagna, in approvazione alla banda, mi spiegate perché i partecipanti non aiutano i vari membri quando ne avrebbero bisogno? Se io fossi stato Il Professore (o il regista) avrei puntato sulla sommossa popolare che aiuta la fuga, o il rientro di vari ed eventuali.
Parlando dei personaggi in questa stagione si riconferma che Denver è da spedire dritto, senza passare dal via, in seconda elementare e Rio alla neuro accompagnato da Stoccolma, mentre Tokyo (che non ha regalato nessuna diapositiva del suo fondo schiena) si muove tra una puntata e l’altra proponendo sesso e follia tra sinuosi movimenti e mosse alla “ti sfido, ti spacco”.
C’è anche un divertente ricordo di quando tutte le ragazze, durante i mesi di addestramento, s’inciuccano a dovere e festeggiano perché una di loro vuole chiamare il figlio Ibiza. Un purissimo tocco di tamarraggine che ben ci sta.
Il premio “momenti salienti” va sicuramente a Palermo che, non si sa come, non viene corcato di mazzate già al minuto zero. Un bell’applauso anche alla poliziotta Alicia Sierra che è pazza e geniale al tempo stesso ed ha una mimica facciale degna di nota.
Da ultimo una nota anche per l’ostaggio, il famigerato Arturito. Lui è il sacco delle botte di ognuno di noi, una persona insopportabile (che di certo abbiamo incontrato nella vita vera provando quel senso di “ti gonfio di schiaffi”) che viene utilizzata per far passare al pubblico messaggi socialmente rilevanti.
Infine due ultime considerazioni:
1. Il Professore ci ha un po’ stufato con i suoi occhialetti ed i suoi cambi d’umore improvvisi;
2. I discorsi stile “Don’t cry for me Argentina” nel bel mezzo di una rapina sono fantascienza pure e hanno anche un po’ rotto le palle.
Da questa recensione sembrerebbe che la quarta stagione della Casa di Carta sia da evitare, in realtà il consiglio finale è di vederla sia perché non si lascia mai una serie a metà, sia perché alcune scene valgono davvero la pena (ma non facciamo spoiler).
Semplicemente va vista come la storia che tutti noi vorremmo poter raccontare, ma che nessuno ha il coraggio di vivere. Così ha il suo perché.
Voto finale: 7
Sbaglio o noto una certa discrepanza tra recensione e voto? Mi aspettavo uno striminzito 6 di incoraggiamento leggendo.. il 7 finale sembra un colpo di scena in stile Casa di Carta 😉
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