Oh, chiudiamo la trilogia degli Indiana Jones con il ritrovamento del sacro Graal. No, non mi riferisco alla coppa fabbricata da Gesù Cristo che viene fuori alla fine del terzo film, ma al fatto che questa volta Lucas e co. hanno prodotto un film provvisto di trama, elemento assolutamente assente nei primi due capitoli della saga (di cui potrete leggere qui e qui).
Diciamolo subito: il terzo Indiana Jones è il migliore del mucchio e nemmeno di poco. Quante volte si può dire lo stesso di una trilogia? Ad occhio credo mai e se avete risposto alla domanda con “Il ritorno del Re” mi dispiace per voi e per le vostre misere vite.
Ma torniamo all’argomento di questa recensione ignorante: Indiana Jones e l’ultima crociata.
Sin dai titoli di testa partiamo bene visto che Spielberg sceglie un font bianco con una leggera riga scura al centro che, pur non essendo uguale, mi ricorda tanto quello che quattro anni dopo lo stesso regista utilizzerà per Jurassic Park.
Il film inizia con l’ennesima scena di fuga, ma questa volta c’è un particolare: a fuggire è l’Indiana Jones ragazzino. Una sorta di origin story alla supereroe Marvel che, a ben vedere, non avrebbe affatto sfigurato nel primo film della serie. Tra i vari meriti di questa scena ci sono: la spiegazione dell’origine della fissa di Indy per fruste e cappelli; lo spiegone sulla relazione difficile con il padre; Indiana che si procura la cicatrice sul mento (cicatrice che Harrison Ford ha veramente).
Dopo l’origine del grande escapologo si torna ai giorni nostri, o meglio al 1938, anno in cui è ambientato il film. La trama? I nazisti (ancora loro) in rapida ascesa in Europa vogliono assicurare la vita eterna ad Hitler (e altre boiate simili). Per fare ciò hanno bisogno che un archeologo avventuriero a caso scopra dove sia nascosta una robetta da niente: il santo Graal, coppa fabbricata dallo stesso Gesù Cristo e capace di donare la vita eterna a chi vi si abbevera (o almeno così dicono).
Ovviamente per arrivare a questo risultato mettono in piedi un piano ingegnoso e particolarmente raffinato che sintetizzeremo con “tira più un pelo di figa che un carro di buoi”. Infatti una volta che Indiana sbarca a Venezia ad attenderlo c’è la scienziata nazista più gnocca di sempre, utilizzata come esca per i mandrilli di casa Jones (uno dei quali ha casualmente passato la vita a studiare questa faccenda del Graal, mentre l’altro è specializzato nel recuperare cimeli in apparenza inesistenti e considerati solo delle leggende).
La cosa più assurda è che ci riescono anche; cioè duemila anni passati alla ricerca del Graal e bastava la motivazione giusta per arrivarci: la figa.
Per arrivare a questo risultato va sottolineato il sacrificio della Dott.sa nazista Elsa Schneider che si bomba in rapida sequenza prima Sean Connery poi Harrison Ford, cosa che credo sia una specie di record mondiale di punti figaggine maschile mai conquistati da una sola donna. Alla fine del film morirà malissimo ma in fin dei conti ne sarà comunque valsa la pena.
Altro da aggiungere? Sì, la scena del “salto della speranza” è una delle robe più fighe mai girate senza la CGI. Dura 10 secondi ed è verso la fine del film ma da sola vale il prezzo del biglietto. In più questo film è al 100% sprovvisto di bambini-spalla del protagonista.
Da ultimo va considerato il fatto che Sean Connery oggi, nel 2020, è sostanzialmente uguale a come era nel 1989, a dimostrazione che una volta che raggiungi il livello massimo non puoi andare oltre.
Giudizio finale
Indiana Jones e l’ultima crociata, voto 8
Francesco Mandolini